FIORELLA E IL PESCATORE di Alfredo Dell’Era

La canzone è bella ma la storia non è – diciamo così – particolarmente edificante.

Una giovane coppia, un’epoca e un luogo imprecisati: facciamo un borgo in Salento tre o quattro secoli fa, tanto le cose non cambiano.

Lui fa il pescatore, parte, starà via un bel pezzo. Parte e va in mare, quel mare che dà cibo e lavoro, ma può dare morte.

Lei prega il suo dio di proteggerlo, di farlo tornare.

E fin qui, niente di che.

Poi il tempo passa, lui ancora non fa rientro. La tipa è giovane e bella, forse è pure primavera; ma anche se primavera non è, la carne grida forte lo stesso.

Si fa avanti uno, le regala una rosa rossa. La passione fa il resto.

Anche fin qui, niente di che: una storia di corna, non la prima né l’ultima.

Il bello – il brutto – viene adesso.

La nostra Fiorella (chiamiamola così, visto che è Fiorella Mannoia a darle voce), Fiorella nostra ci prende gusto assai, al punto da invocare il suo dio di non farlo tornare più, il marito: «è troppo forte questa catena, io non la voglio spezzare».

Male, signora mia, male: non si augura la morte a un povero cristo che rischia la pelle per campare casa.

Ma il chewing-gum – si sa – dopo un po’ perde sapore, e senza pensarci troppo chi lo mastica lo sputa.

Così fa quello della rosa rossa con Fiorella, Fiorella la bella.

Male, giovanotto, male: mai usare gli altri come mezzi, diceva Kant che vanno considerati sempre e soltanto fini (o forse Kant non lo diceva ancora, forse questi fatti son avvenuti prima, chissà).

Intanto Fiorella nostra non s’è persa d’animo, né ha perso tempo.

Eccola qua che invoca di nuovo il suo dio:

– Senti, avrei cambiato idea…

– Ancora? Son tre volte!

– Ti giuro che è l’ultima.

– Sentiamo.

– Fammelo tornare mio marito, sano e salvo.

– Benedetta ragazza…

Piuttosto che niente, è meglio piuttosto, dicono a Milano.

Alfredo Dell’Era