GUSTAVO ADOLFO BECQUER VIVE NELLA POESIA E NELLA LEGGENDA

GUSTAVO ADOLFO BÉCQUER, VIVE NELLA POESIA E NELLA LEGGENDA

“Puede no haber poetas, pero siempre / habrá poesía.”

G.A. Bécquer

(“Ci potranno non essere poeti, ma ci sarà sempre poesia”)

Gustavo Adolfo Bécquer (Gustavo Adolfo Domínguez Bastida, Siviglia 17 febbraio 1836 -22 dicembre 1870) è il massimo rappresentante della poesia post – romantica, con tendenza intimista. Il suo carattere distintivo è l’apparente semplicità espressiva che si allontana dalla retorica del romanticismo. La sua opera influenza marcatamente poeti quali Rubén Darío, Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez e i poeti della generazione del 27.

La critica considera, da sempre, Bécquer, precursore della poesia contemporanea. Ma il poeta e scrittore è, soprattutto, “poeta vivo”, la vita delle sue Rime è nutrita della poesia popolare nel senso più ampio della parola, ma i suoi versi, pur con espressioni semplici, sono espressione di suprema bellezza. Una bellezza che non muore, che continua a essere oggetto d’interesse per numerosi lettori.

Gustavo Adolfo Bécquer è poeta prodigio; figlio e fratello di pittori, rimane orfano all’età di dieci anni e vive la sua infanzia e adolescenza a Siviglia. Inizia presto a scrivere poesie e con meravigliosa perfezione; a undici anni, scrive “Ode alla morte di Don Alberto Lista”, un anno dopo, la rivista letteraria di Siviglia pubblica “Il regalo di Andalusia”, caratterizzata da grande precisione metrica raggiunta da mano sicura nella leggera musicalità delle rime.

Nella primavera del 1858, Bécquer, debilitato da una grave malattia non diagnosticata, che lo costringe per due mesi al letto, preoccupando i suoi tanti amici accorsi al suo capezzale.  Da lì a poco, uno di loro, rovistando fra le carte, rinviene il testo “Il caudillo (leader) delle mani” che ottiene la pubblicazione. Il poeta però, riesce, fortunatamente riesce a ristabilirsi. Nell’anno 1860, a Gustavo B. viene diagnosticata la sifilide, ormai quando la malattia ha già causato gravi danni all’occhio destro, provocandogli un forte strabismo.

Bécquer entra in coma nella notte del 21 di dicembre, ma, prima di perdere coscienza, al suo migliore amico, Augusto Ferrán, consegna alcuni documenti da bruciare oltre alle sue rime da pubblicare, dicendogli “Ho il presentimento che sarò più conosciuto da morto che da vivo”. Dopo un’intera notte di agonia, muore alle dieci del mattino del 22 dicembre del 1870.

Un poeta è stato interrato, ma è tornato a rinascere con la sua poesia.

(autocitazione)

Dopo la morte del poeta, i suoi amici Ferrán e Narciso Campillo si riuniscono il 29 dicembre di quello stesso anno per leggere, per la prima volta, le rime di Bécquer.  I suoi volumi vedono la luce nel 1871; tutte le edizioni successive de “Rime” riportano questa prima edizione. Gli amici di Bécquer suddividono le poesie per tematica, la numerazione attuale, corrisponde a questa prima suddivisione. Tale sistemazione tematica è accettata dalla critica.

Le opere

Il 17 dicembre 1859 appare la sua prima rima (numero XIII) nella rivista “El nene”, con il titolo “Imitazione a Byron”, in realtà, il secondo brano della futura rima XIII è una parafrasi del primo brano del poema “Hebrew Melodies”, di Lord Byron. In questi versi di Bécquer appare lo sguardo azzurro; in questo periodo la fantasia del poeta è dominata dagli occhi cerulei.

“¿Qué es poesía?, dices mientras clavas en mi pupila tu pupila azul. ¿Qué es poesía? ¿Y tú me lo preguntas?… Poesía eres tú…”

“Cos’è la poesia? Dici mentre inchiodi nella mia pupilla la tua pupilla azzurra. Cos’è la poesia? E tu me lo chiedi?… Poesia sei tu…”

Gustavo Adolfo Bécquer pubblica sedici poesie in vita, diffuse sui giornali di quell’epoca, molte delle quali, pubblicate anonime oppure firmate semplicemente con “B.”.  Nessuna di queste rime rientra fra quelle che oggi si dichiarano: “fondamentali”, neppure le più celebri: quella della solitudine dei morti e quella delle rondini. Bécquer è maggiormente noto come autore delle “Leyendes”; alcuni dei suoi lavori pubblicati a Madrid sono pubblicati anche in altre riviste di Spagna. Le future Rime sono apprezzate nel “dopo”, come egli stesso ha presagito, nell’eternità.

La sua immensa fama si fonda sulle “Rime” a caratterizzare la corrente Post –Romantica spagnola; con spiccata propensione all’intimismo, ispirato all’opera del tedesco Heine, erede in qualche modo, di Goethe.  Le rime sono in opposizione alla retorica.

Nel contesto del movimento romantico spagnola, la sua opera è fortemente innovativa.

Le “Rime” ammontano a un totale di ottantasei composizioni. Il contenuto delle “Rime” è  diviso in quattro gruppi: il primo (dalle Rime I alle Rime XI) racchiude alcune riflessioni sulla poesia e sulla creazione letteraria; il secondo gruppo (Dalle Rime XII alle XXIX) , verte sull’amore ed i suoi effetti sull’anima del poeta; nel terzo gruppo (Dalle rime XXX alle Rime LI) predominano il disincanto, la mancanza d’amore, la delusione; Il quarto gruppo (dalle Rime LII alle Rime LXXXVI) mostra il poeta in procinto di affrontare la morte e l’idea della morte con grandi dubbi sull’esistenza dell’amore, predominate da una sfiducia nel mondo. Le rime sono precedute da un’introduzione che fa da prologo per tutta la sua opera.

La sua poetica è intrisa di sensibilità, le sue Rime rappresentano un canzoniere d’amore, dentro e intorno a una creatura femminile nelle più intime fibre della passione amorosa, come un’attrazione magnetica, una donna vitale dallo sguardo magico. La sua poetica è caratterizzata da un realismo degli ideali, lontano dal realismo utilitaristico e sociale. Le Rime di Bécquer sono cucite sulla sua pelle, fra un “Io” e un “Tu”. con frasi contigue e opposte del consenso e del dissenso. Le rime costituiscono una “leyenda” della sua avventura umana; all’interno di queste rime si possono incontrare tre protagoniste: “La donna presente”, “La donna assente nella sua traccia”, “La donna pietrificata”, Dunque è possibile cogliere “l’Io empirico” in relazione a tre aspetti della donna. Questi tre gruppi sono caratterizzati da un “Io metalinguistico” che unifica le varie sezioni. In questo serbatoio di emozioni appare fondamentale la distinzione fra “il poeta-uomo” e “il poeta trascendente”. La forte correlazione tra il poeta-uomo e il poeta-trascendente nonché l’intrinseca ambiguità fra i due ammantano l’opera di un mistero difficile da decifrare.

Nelle rime che ritraggono la donna presente si evidenziano elementi corporei ed elementi naturali.

Elementi corporei:

S.IX. Ti abbraccio. Penetro nella tua anima. XIII. Occhi, pupille azzurre, vi s’irradia un’idea. XVI.

Occhi solari, e loro immagine, verso l’ignoto.

Elementi di natura:

 In queste rime le parti corporee muliebri attraggono e si assimilano a parti della natura.

XX. Labbra di lei bruciate da aria infiammata, anima che bacia con lo sguardo.

Nessuno come Bécquer ha saputo scrivere “l’inno dell’aura” con parole che fossero nel contempo sospiri e risate, colori e note”; il poeta ha saputo sottolineare la musicalità della parola per rappresentare un panorama musicale-pittorico-teatrale che moltiplica il valore implicito delle sue rime.

Nella sezione donna-traccia dell’amore perduto si alternano orgoglio e dignità, qui si fa ricorso alle parole: “resistenza” ,  “volontà” –

XXXI. Passione rappresentata come una farsa; a lei sono rimasti pianto e riso; a lui solo il pianto.  LVI. Solo alla partenza c’è vita per lui. XLVI. Lui, dignitoso, pur morto d’amore, mentre lei lo crede calmo dopo averlo trucidato. XLVIII. Volontariamente ha soppresso l’immagine di lei, ma ne resta tenace la visione. LVIII. Amore di un istante; solo così se ne conserva la memoria.

Nella sezione donna pietrificata si coglie lo sconvolgimento della natura reale e simbolica alla presenza della donna che travolge, sconvolge al suo passaggio. XL. Non c’è maschera simile al suo volto. Oblio. S.III. Casta, fiore del di lui deserto. LXVII. Bello lo spettacolo della natura, dormire e mangiare; ma che peccato che ciò non basti.

Nelle Rime si colgono metafore al limite del metafisico con tendenza al romanticismo, all’illuminismo e a volte perfino al positivismo; il tutto si compenetra di elementi naturalistici, sensitivi e spirituali conferendo alla sua poetica un colorito magnetismo.

Poema Amor Eterno

Podrá nublarse el sol eternamente;

podrá secarse en un instante el mar;

pPodrá romperse el eje de la tierra

como un débil cristal.

¡Todo sucederá! Podrá la muerte

cubrirme con su fúnebre crespón;

pero jamás en mí podrá apagarse

la llama de tu amor

Poema dell’amore eterno (Traduzione di Yuleisy Cruz Lezcano)

Potrà annuvolarsi il sole eternamente;

potrà asciugarsi in un istante il mare;

potrà rompersi l’asse della terra

come un debole cristallo.

Tutto succederà! Potrà la morte

coprirmi con la sua funebre increspatura;

però mai potrà spegnersi in me

la fiamma del tuo amore.

VIII

Cuando miro el azul horizonte

perderse a lo lejos,

al través de una gasa de polvo

dorado e inquieto,

me parece posible arrancarme

del mísero suelo

y flotar con la niebla dorada

en átomos leves

¡Cual ella deshecho!

Cuando miro de noche en el fondo

oscuro del cielo

las estrellas temblar como ardientes

pupilas de fuego,

me parece posible a dó brillan

subir en un vuelo

y anegarme en su luz, y con ellas

en lumbre encendido

fundirme en un beso.

En el mar de la duda en que bogo

ni aun sé lo que creo;

sin embargo, estas ansias me dicen

que yo llevo algo

divino aquí dentro.

Traduzione di Yuleisy Cruz Lezcano

VIII

Quando guardo l’orizzonte azzurro

perdersi lontano,

per entro un velo la polvere

dorata e inquieta,

mi sembra possibile sradicarmi

dalla misera terra

e fluttuare con la nebbia dorata

in atomi lievi

come quella disfatto.

Quando nella notte guardo nel fondo

oscuro del cielo

Le stelle tremare, come ardenti

pupille di fuoco,

mi sembra possibile là dove brillano

salire in un volo

e naufragare nella loro luce, e con esse

in acceso splendore

fondermi in un bacio.

Nel mare del dubbio in cui navigo

non so ancora in che credere

eppure, queste ansie mi dicono

che io reco qualcosa

di divino qui dentro!…

XXXIII

Es cuestión de palabras, y no obstante,

ni tú ni yo jamás,

después de lo pasado, convendremos

en quién la culpa está.

¡Lástima que el Amor un diccionario

no tenga donde hallar

cuándo el orgullo es simplemente orgullo

y cuándo es dignidad!

Traduzione Yuleisy Cruz Lezcano

XXXIII

È questione di parole, eppure

Né tu né io, mai,

dopo quel ch’è passato, ci ricorderemo

su cui cade la colpa.

Peccato che l’amore un dizionario

non abbia, in cui trovare

quando l’orgoglio è solamente orgoglio

e quando è dignità!

XXXIV

Cruza callada, y son sus movimientos

silenciosa armonía;

suenan sus pasos, y al sonar, recuerdan

del himno alado la cadencia rítmica.

Los ojos entreabre, aquellos ojos

tan claros como el día;

y la tierra y el cielo, cuanto abarcan,

arde con nueva luz en sus pupilas.

Ríe, y su carcajada, tiene notas

del agua fugitiva;

llora, y es cada lágrima un poema

de ternura infinita.

Ella tiene la luz, tiene el perfume,

el color y la línea,

la forma, engendradora de deseos;

la expresión, fuente eterna de poesía.

¿Que es estúpida?… ¡Bah! Mientras callando

guarde oscuro el enigma,

siempre valdrá, a mi ver, lo que ella calla

más que lo que cualquiera otra me diga.

Traduzione Yuleisy Cruz Lezcano

XXXIV

Tacita passa e son le sue movenze

silenziosa armonia;

suonano i passi e il suono mi rammenta

dell’inno alato la misura ritmica.

Va socchiudendo gli occhi, quei suoi occhi

chiari sì come il giorno,

ed arde quanto esiste in terra e in cielo

di nuova luce nelle sue pupille.

Ride, e il suo fresco riso rassomiglia

a un’acqua fuggitiva;

piange, e ciascuna lacrima è un poema

di dolcezza infinita.

Dimora in lei la luce, in lei l’aroma,

il colore e la linea,

la forma, generante i desideri,

l’espressione, sorgete di poesia.

Forse è stupida?… Ma! Finché tacendo

tenga oscuro l’enigma,

quel che tace varrà sempre per me

più di quello che alcuna altra mi dica.

Oltre alle rime, Bécquer compose 28 “Leyendas” in cui si osservano alcuni elementi tipici del Romanticismo, quali l’amore impossibile, la solitudine, la miseria, il mistero, l’esotico, l’ordinario ed il soprannaturale. Il paesaggio naturale è enfatizzato in queste leggende, ma esso ha valore in relazione all’anima.

Riconoscendo come maestro questo grande poeta e scrittore, invito tutti a leggere e approfondire la sua opera!

Yuleisy Cruz Lezcano

Poeti contemporanei Andrée CHEDID

Di questo amore ardente resto meravigliata

Di questo amore ardente resto

meravigliata

Resto meravigliata

Dello sciabordio delle acque

Del cinguettio degli uccelli

Di queste plenitudini della terra

Resto meravigliata

D’un invincibile amore

Sempre nuovo

Resto meravigliata

Di questo amore

Ardente

Che non teme

Né il torrente del tempo

Né l’ecatombe

Dei raccolti giorni

Nel mio specchio

Logoro

sorrido ancora

Resto meravigliata

Niente m’occorre

L’amore s’è radicato

Una volta

e per sempre.

Di questo amore ardente resto

meravigliata.

De cet amour ardent je reste émerveillée

Je reste émerveillée
Du clapotis de l’eau
Des oiseaux gazouilleurs
Ces bonheurs de la terre
Je reste émerveillée
D’un amour
Invincible
Toujours présent

Je reste émerveillée
De cet amour
Ardent
Qui ne craint
Ni le torrent du temps
Ni l’hécatombe
Des jours accumulés.

Dans mon miroir
Défraîchi
Je me souris encore
Je reste émerveillée
Rien n’y fait
L’amour s’est implanté
Une fois
Pour toutes.

De cet amour ardent je reste

émerveillée.

Riscattare l’oscurità

Ho puntato su queste barche che fuggono l’umidezza.

Questo lancio di luce

oltre l’ordito delle nebbie

Questi nodi d’ombra

Sciolti dalla parola

Questa pioggia di scintille

Emersa dai labirinti

Questi lucernai che bucano l’opacità

 Queste lune che riscattano l’oscurità

 Ho puntato su questi chiarori

Profondi e deperibili

 Sull’acceso dinanzi allo spento

Sull’alba dinanzi ai tramonti.

 Racheter l’obuscur

Je mise sur ces barques Échappant aux moiteurs

Cet élan de l’éclair

Hors du complot des brumes

Ces nœuds de l’ombre
Dissous par la parole

Cette volée d’étincelles
Surgie des labyrinthes

Ces lucarnes trouant l’opaque

Ces lunes rachetant l’obscur

Je mise sur ces clartés
Profondes et périssables

Sur l’intense face au terne
Sur l’aube face aux déclins.

T’amo, ostile alato

Non di morte moriamo

Ma del ridurre il giorno in mille frantumi

Dell’essere preda d’uno solo dei nostri volti

Del prendere le nostre case per il luogo

Non di morte moriamo

Ma della spuma che perde memoria

delle sue tempie d’oceano

Della pianta costretta nella dimora

Delle valli che il tempo inardisce

fitte d’insondabili boschi

di cui si svela solo un ramo

E del caso

Atollo che s’attaglia

Vita incisa nelle nostre vite

A quale filo ti reggi?

T’amo ostile alato.

Je t’aime, hostile oiseau

Ce n’est pas de mourir que nous mourrons

Mais de porter le jour en mille échardes
D’être la proie d’un seul de nos visages
De tenir nos maisons pour le lieu

Ce n’est pas de mourir que nous mourrons

Mais de l’écume qui perd mémoire
de ses tempes d’océan

De l’herbe forcée dans son repaire
Des plaines que l’heure racornit

Gorgés de forêts insondables

de n’en dévoiler qu’un rameau
Et du hasard,
atoll qui se réduit

Vie tigrée sur nos vies
A quel filet te prendre?

La resurrezione del morto

                                                (contro-canto, 1968)

A volte la parola

Scuote le grate del linguaggio

A volte la parola

Travolge e cavalca la mia durata

A volte la parola

Sfugge alla ferula delle parole

A volte divento

Ciò che ho denominato

Dunque

          La VITA!

A volte.

Surgir du Mort

                           (contre-chant, 1968)

Parfois le mot

Bouscule les grilles du langage

Parfois le mot

Emporte et chevauche ma durée

Parfois le mot

Echappe à la férule des mots

Parfois je deviens

Ce que j’ai nommé

Alors

                         La VIE !

Parfois.


Andrée Chedid poeta, scrittrice, drammaturga

nata da genitori siro-libanesi, sognava di fare la ballerina ma a 21 anni sposò uno studente in medicina da cui ebbe due figli: il cantante Louis Chedid e la pittrice Michèle Chedid Koltz, famosa presso il ducato di Lussemburgo.

Da giovane studiò presso scuole francesi, successivamente si laureò presso l’Università Americana del Cairo. Torna nella sua terra d’origine con suo marito nel 1942 ma già nel 1946 la lascia per trasferirsi definitivamente a Parigi dove comincia a pubblicare le sue raccolte di poesie.

La sua opera è caratterizzata da una continua interrogazione sulla condizione umana e sui legami fra l’uomo e il mondo. Dalle sue pagine traspirano la sensualità e i profumi dell’Oriente, dell’Egitto, in particolare, la terra dell’infanzia, ma anche il dolore che ella prova parlando della guerra che strazia il “suo” Libano.

Nel 1994 l’ Académie Française le conferì il Grand Prix de Littérature Paul Morand.

Muore nel 2011 all’età di 90 anni.


i Testi De cet amour ardent je reste émerveillée e Racheter l’obuscur sono tratti da:

https://www.eternels-eclairs.fr/poemes-andree-chedid.php

I testi: Je t’aime, hostile oiseau, Surgir du Mort sono tratti da: GIOVANNI DOTOLI, Poésie Mediterraneenne D’expression Française (1945 -1990) – Consiglio delle Università Mediterranee – Consiglio Nazionale delle Ricerche- Schena/Nizet. Schena Editore, Bari, 1991

Le traduzioni sono di Giulia Sonnante

RIFLESSI E VELATURE di Antonio SPAGNUOLO: tra realtà e immaginazione, la Poesia della Memoria

Antonio Spagnuolo, RIFLESSI E VELATURE,
la valle del Tempo, Napoli, febbraio 2023
Presentazione di Maurizio Vitiello

La poesia, scrive Antonio Spagnuolo, richiama al disvelamento delle verità nascoste nelle circonvoluzioni celebrali. Tra coscienza e inconscio, tra realtà e immaginazione i confini fra tempo e sentimenti vengono annullati trascinando l’io nelle forze luminose dell’emotività1

È proprio l’oscillar continuo, lento e malinconico, tra consapevolezza e sogno, realtà e immaginazione, a carezzare i versi della raccolta Riflessi e velature. E come l’altalena abbandonata frettolosamente dal bambino in cerca di un nuovo gioco, il tempo arretra dondolandosi ancora dolcemente sulla scia di ricordi che rendano vivibile il presente, ancora attraversabile.

Così i momenti erosi dallo sconforto: “Smetti di ricercare primavere / che svaniscono nel rapido volgere di spalle” e ancora: “Il mio richiamo ha mutamenti nel buio / stanco di un’armonia che vibra / e polverizza questa mia vecchiaia”2 scivolano nel sogno della gioventù e dell’amor sublime: “Ripeti le illusioni della gioventù, / di quella strana pagina che manca / per riempire ancora di riflessi le coltri, / e cercare memorie di tremori.”3 E ancora: “Attimo sospeso in un sorseggio / sorridendo ai trent’anni. / Morbida erosione era la tua malia / per dita di alabastro e domande di attesa.”4. Sono versi d’amore estremamente equilibrati in cui il desiderio, vigorosissimo, non si lascia avvilire dalle malinconie dell’età, così il Poeta scrive: “Potresti ritornare solo un momento! / Il solo tempo che io tenti d’immergermi / nelle tue pupille e confondermi con te”5 . Ma l’amore, che sfuma i contorni del sogno, si confonde con il lancinante dolore della perdita: “Strepito improvviso annulla ogni voce, / invoca il nodo che ti esalta / sul guanciale gelato”6 .

Superando le barriere del tempo e pervadendo il presente, i ricordi scorrono sullo specchio dell’anima sdoppiando le immagini di una vita intera, soprapponendo volti, paesaggi, sbalzi e solfeggi per rinnovare lo spazio mentale ed emozionale del Poeta: “Racconto di bronzi al capriccio affilato / dello specchio che sdoppia e scorre / nelle dissolvenze di un canto / che ripete melodie e figure di un tempo”7 .

Se i ricordi come clamorosi bagliori lacerano il buio risalendo la parete più interna dell’essere ed il Poeta li ricerca, quasi ossessivamente ricerca e ritrova l’amato volto: “Il lampeggio che ripete il tuo profilo / è come un tarlo che negli abbagli / penetra la memoria”8, la “velatura” è lo strato di colore che il pittore stende sul dipinto per ammorbidirne il tono e renderlo più vivo. Il poeta svela, dunque, un animo in lotta che non s’abbandona mai totalmente lasciandosi attraversare dal raggio luminoso del ricordo: “A un passo da limpido incanto / corrono i toni caldi delle luci, / per quella strana scheggia che sfuma / soffusa / e diventa dissolvenze nel crogiuolo.”9

La tela, come la pagina, diventa, dunque, spazio privilegiato in cui esprimere la propria interiorità; Così se è vero che “aggancia solitudini il pennello”10, il segno, pittorico o linguistico che sia, “svela macchie colorate di speranze”11 .


Domande per Antonio Spagnuolo

1. Cos’è per lei la Poesia? E cosa ha significato scrivere poesie nelle diverse età della vita: dall’adolescenza alla maturità?

R. La poesia va dove il pensiero coglie quello che si rivela evidente nella quotidianità, suggerendo le varie mosse dell’immaginazione, protesa verso un indefinito policromatico. Scrivo poesie sin dalla mia adolescenza, quando i primi bagagli culturali iniziavano ad arricchire i miei pensieri. Nello scorrere degli anni la passione è divenuta necessità, perché ho molto letto e cercato nelle pagine degli autori storicizzati.

2. In Riflessi e Velature, Lei svela la sua passione per la pittura. Cosa accomuna la pittura alla scrittura poetica?

R. Non è esatto dire che io abbia una passione per la pittura. L’ammiro, la seguo, perché mio padre oltre che ottimo medico è stato anche un affermato pittore**. Ma direi di più: la poesia oltre ad essere musica è anche pittura, per la sua capacità di descrizioni.

3. Quali poeti amava, a quali s’ispirava come giovane poeta?

R. Gabriele D’Annunzio è stato il primo poeta che mi ha conquistato in età scolare. Infatti il mio primo volume di poesie del 1953 riecheggia i versi dannunziani. Poi uno dopo l’altro sono entrati nella mia ricerca decine e decine di poeti, per cui è difficile dire quale poeta sia stato capace di ispirazione.

4. Cosa si sente di dire ad un giovane che oggi incominci a scrivere poesie e voglia farsi conoscere come poeta?

R. Domanda trabocchetto! Oggi ci sono centinaia di poetucoli che credono di essere detentori del “verbo”, senza aver studiato gli autori che ci hanno preceduto. Suggerisco sempre che prima di dichiararsi sperimentalisti bisogna leggere e studiare quanto è stato fatto e scritto in precedenza da poeti di fama. Oggi si dichiarano avanguardisti e ripetono le gesta di chi ci ha preceduto.

5. La Poesia è spesso considerata per pochi e destinata ad una ristretta cerchia di lettori. Ad essa, non di rado, si preferiscono forme di scrittura narrativa tra cui il racconto o ancor più il romanzo. Quali sono per lei le ragioni di tale tendenza e cosa si potrebbe ancora fare per garantire una maggiore fruizione della poesia nel pubblico dei lettori?

R. Ritorniamo a quanto detto prima. Il pubblico della poesia non esiste perché la scuola, gli studi, non informano, e pochi si dedicano all’approfondimento del verso. La cultura contemporanea è molto scarsa mentre per la poesia occorre un accorgimento emotivo di notevole spessore. Bisognerebbe inondare la stampa con poeti e poesie rigorosamente selezionate dalla critica. Mentre invece impera internet con offerte poetiche di scarso valore e con centinaia di “mi piace” sotto componimenti da strapazzo. Tra racconto o romanzo io preferisco volumi di saggistica.


**Alferio Spagnuolo (1904 – 1981) è nato a San Paolo del Brasile ed è morto a Napoli, città nella quale ha vissuto sin dall’età di 5 anni. Medico dalle luminose capacità diagnostiche è stato anche un pittore di notevole successo. Ha lasciato in eredità decine e decine di quadri. Sue opere pittoriche, elogiate dalla critica degli anni sessanta, sono patrimonio artistico di numerose pinacoteche nazionali. Di lui hanno scritto le maggiori firme della stampa quotidiana del tempo.

ANTONIO SPAGNUOLO

A cura di Giulia Sonnante

per il Circolo letterario Vento Adriatico


Antonio Spagnuolo è nato a Napoli il 21 luglio 1931. Ha fondato e diretto negli anni 80 la rivista “Prospettive culturali” , alla quale hanno collaborato firme autorevoli . Redattore della rivista Realtà al tempo di Aldo Capasso e Lionello Fiumi- Ha fondato e diretto la rivista “Iride”. Ha fondato e diretto la rivista “Prospettive culturali” negli anni 80, alla quale collaborarono autori storicizzati.

Ha fondato e diretto la collana “L’assedio della poesia”, dal 1991 al 2006. Pubblicando autori di interesse nazionale come Gilberto Finzi, Gio Ferri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Massimo Pamio, Ettore Bonessio di Terzet, Giliano Manacorda, Alberto Cappi , Dante Maffia e altri . 

Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie,

collabora a periodici e riviste di varia cultura  –   Attualmente dirige la collana “Frontiere della poesia contemporanea” per “La valle del tempo” editrice, e la rassegna ”poetrydream” in internet = ( http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com ). Presiede il premio “L’assedio della poesia 2020” –

Nel volume “Ritmi del lontano presente” Massimo Pamio prende in esame le sue opere edite tra il 1974 e il 1990 .

Plinio Perilli con il saggio “Come l’ombra di una nuvola sull’acqua” (Ed. Kairòs 2007) rivisita gli ultimi volumi pubblicati fra il 2001 e il 2007.

Nel 2018 Elio Grasso e Bonifacio Vincenzi realizzano per lui il primo volume della collana “SUD i poeti” edito da Macabor. Fra gli ultimi riconoscimenti Premio “Libero de Libero 2017” – Premio “Salvatore Cerino 2018” –Premio “L’arte in versi 2018” — Menzione speciale al premio “Aoros 2017” – Lauro d’oro alla carriera “Premio città di Conza 2017”- Premio “N. e C. Di Nezza” Isernia 2018 – . “Premio all’Eccellenza 2019” – Roma. Premio Silarus 2020 – Premio speciale “Lettera d’amore 2021” – Premio speciale “Iris” 2021 .- Premio Emily Dickinson 2022. Premio Eccellenza alla cultura 2022.

Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo, rumeno, arabo, turco.

Ha pubblicato:

* I volumi di poesia:

“Ore del tempo perduto”   – Intelisano – Milano 1953

“Rintocchi nel cielo” – Ofiria – Firenze 1954

“Erba sul muro” – Iride – Napoli 1965 – prefaz. G. Salveti

“Poesie 74” – SEN  Napoli  1974 – prefaz. Dom. Rea

“Affinità imperfette” – SEN  Napoli  1978 – prefaz. M. Stefanile

“I diritti senza nome” – SEN  Napoli  1978 – prefaz. M. Grillandi

“Angolo artificiale” – SEN  Napoli 1979

“Graffito controluce” – SEN Napoli 1980 – prefaz. G. Raboni

“Ingresso bianco” – Glaux Napoli 1983

“Le stanze” – Glaux  Napoli 1983 – prefaz. C. Ruggiero

“Fogli dal calendario” – Tam-Tam   Reggio Emilia 1984 – prefaz. G.B. Nazzaro

“Candida” – Guida  Napoli 1985  – prefaz. M. Pomilio  (Premio Adelfia 85 e Stefanile 86)

“Dieci poesie d’amore e una prova d’autore” – Altri Termini . Napoli – 1987 (Premio Venezia 87)

“Infibul/azione” –  Hetea – Alatri 1988

“Il tempo scalzato” – All’antico mercato saraceno – Treviso 1989

“L’intimo piacere di svestirsi” – L’Assedio della poesia – Napoli 1992

“Il gesto – le camelie” – All’antico mercato Saraceno – Treviso 1992  (Premio Spallicci 91)

“Dietro il restauro”  – Ripostes – Salerno 1993  (Premio Minturnae  93)

“Attese” – Porto Franco – Taranto 1994 – illustrazioni di Aligi Sassu

“Inedito 95” inserito nell’antologia di Giuliano Manacorda “Disordinate convivenze –

                        ediz. L’assedio della poesia – Napoli – 1996.

“Io ti inseguirò”  (venticinque poesie intorno alla Croce) – Luciano Editore – Na – 1999

“Rapinando alfabeti” – pref. Plinio Perilli – Napoli 2001 –

“Corruptions” – Gradiva Pubblications – New York . 2004 (trad. Luigi Bonaffini)

“Per lembi” – Manni editori – Lecce  2004 (Premio speciale della Giuria – Astrolabio 2005, Premio      Saturo d’argento 2006)

“Fugacità del tempo” (prefaz. Gilberto Finzi) – Ed. Lietocolle – Faloppio 2007 –

“Ultime chimere” – L’arcafelice – 2008

“Fratture da comporre” – ed. Kairòs –Napoli – 2009

“Frammenti imprevisti” – (Antologia della poesia contemporanea) ed. Kairòs – Napoli – 2011

“Misure del timore” – dai volumi 1985/2010 – Ed. Kairòs – Napoli – 2011-

“Il senso della possibilità” – ed. Kairòs – Napoli –  2013 ( premio Sant’Anastasia 2014 + Premio speciale al Camaiore 2014)

“Come un solfeggio” ed. Kairòs – Napoli – 2014-

“Oltre lo smeriglio” ed. Kairos – Napoli – 2014 –

“Ultimo tocco” – Puntoacapo editrice – Pasturana – 2015

“Da mozzare” – Ed. Poetikanten — Sesto Fiorentino – 2016

“Non ritorni” – Ed. Robin – Torino – 2016 ( premio Le Nuvole – Bertrand Russell 2017)

“Sospensioni” – Ed. Eureka – Corato – 2016 –

“Canzoniere dell’assenza” (pref. Silvio Perrella) – Kairos- Napoli 2018 (premio L’arte in versi)

“Svestire le memorie” – premio Libero delibero – Ed. Fondi 2018

“Istanti o frenesie” – punto a capo editore – 2018

“Polveri nell’ombra” – Oedipus editore – 2019 –

“Ricami dalle frane” – Oedipus 2021 (premio Emily Dickinson 2022)

“Proiezioni al crepuscolo” – Macabor editore 2022

“Riflessi e velature” – Ed. La valle del tempo 2023

* I volumi in prosa :

“Monica ed altri”- racconti  – SEN  Napoli – 1980

“Pausa di sghembo” – romanzo – Ripostes – Salerno 1994

“Un sogno nel bagaglio” – romanzo – Manni ed. Lecce – 2006

“La mia amica Morèl” – racconti – Kairòs – Napoli 2008

* I volumi per il teatro :

“Il cofanetto” – due atti –  L’assedio della poesia – Napoli 1995

“Vertigini di colori” un atto per Frida Kahlo – Napoli 2007

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Di lui hanno scritto numerosi autori fra i quali Umberto Saba, A. Asor Rosa che lo ospita nel suo “Dizionario della letteratura italiana del novecento” e nella “Letteratura italiana” edizioni Einaudi , Carmine Di Biase nel volume “La letteratura come valore”, Matteo d’Ambrosio nel volume “La poesia a Napoli dal 1940 al 1987”, Gio Ferri nei volumi “La ragione poetica” e “Forme barocche della poesia contemporanea”,  Stefano Lanuzza nel volume “Lo sparviero sul pugno”,  Felice Piemontese nel volume “Autodizionario degli scrittori italiani” , Corrado Ruggiero nel volume “Verso dove”, Alberto Cappi nel volume “In atto di poesia”, Ettore Bonessio di Terzet nel volume “Genova-Napoli due capitali della poesia”, Dante Maffia nel volume “La poesia italiana verso il nuovo millennio”, Sandro Montalto in “Forme concrete della poesia contemporanea” e “Compendio di eresia”, Ciro Vitiello nel volume “Antologia della poesia italiana contemporanea”, Plinio Perilli in “Come l’ombra di una nuvola sull’acqua”, Carlo Di Lieto in “La bella afasia” , Mario Fresa nel suo “Dizionario critico della poesia italiana”, oltre a D. Rea, M. Pomilio,D. Cara, G. Linguaglossa, M. Lunetta, G. Manacorda , Gian Battista Nazzaro , G. Panella, Nazario Pardini, Ugo Piscopo, G. Raboni , Enzo Rega, Carlangelo Mauro, Silvio Perrella, Annella Prisco, e molti altri .

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Antonio Spagnuolo, contatto mail:  spagnuoloantonio@hotmail.com


1. Cit. di A. Spagnuolo, Riflessi e velature, La Valle del tempo, Napoli, 2023 (quarta di copertina)

2. A. Spagnuolo, in op. cit. Sere, p. 15

3. A. Spagnuolo, Gioventù in op. cit. p. 32

4. A. Spagnuolo, Meriggi in op. cit. 36

5. A. Spagnuolo, Vortice, in op. cit. p. 27

6. A. Spagnuolo, Assenza, in op. cit. p. 61

7. A. Spagnuolo, Lividi velluti (per i bronzi di Cosenza) in op. cit. p. 51

8. A. Spagnuolo, Ricordi, in op. cit. p. 26

9. A Spagnuolo, Paesaggi (per una mostra di pittura) in op. cit. p. 44

10. A. Spagnuolo, Ricamo (per una mostra di pittura) p. 48

11. A. Spagnuolo, Paesaggi (per una mostra di pittura) p. 44

POETI CONTEMPORANEI Anna Maria Scopa

M’alleno alla malinconia
Al disordine degli occhi
Per poi sapermi salva
farmi un riparo nell’acqua
o nell’equilibrio del cielo
cercarmi amore
in una ninnananna
dove la strada s’appoggia
a questa pioggia
e addormentarmi
coltivando il mare
Vorrei farmi un riparo
in questo teatro di foglie e
fare finta di quando si muore
Uccidere le parole prima
che diventino baccelli da sgranare.

INEDITI 2019

Quando sei andato via
ho seminato ovunque fiori

nei vasi sul balcone
e ho mangiato poesia
tutti i giorni
Per il mio sangue di lupa
ho barattato parole
C’è una stanza
vuota da affittare e
il mio cuore non ha perso peso.

INEDITI 2019

Ti porto nelle tasche
e ti stringo
Ho gli scontrini sbrindellati di ieri e le
Peonie
Due bottoni, foglie secche
Nessuno che insegni la differenziata
&
Il cuore

&
i suoi spazi sottovuoto

INEDITI 2019


Annamaria Scopa nasce a Vasto (CH) In Abruzzo e risiede a Roma.

Dopo gli studi superiori si iscrive in conservatorio a Pescara dove studia canto lirico. L’amore per il canto, la musica e l’arte in genere fanno parte del suo modo di sentire. Ha partecipato a Reading, Poetry Slam   ha un profilo fb dove scrive sotto il nome di Annawrite Annamaria Major.

È presente in diverse antologie, le ultime “Nel corpo della voce” edito da Contro luna edizioni,“Una furtiva lacrima” Poeti al tempo del dolore, curato da Vincenzo Guarracino, edito dalla casa editrice Di Felice edizioni; “Parma” Poesia edizioni Bertoni Editore. “Tra parole e immagini” a cura di Giorgio Moio. Ha collaborato e collabora con diverse riviste: “Nova” Rivista d’arte e scienza di Antonio Limoncelli;“ 22 pensieri-Vingt-Deux Pensées rivista on line.

Pubblica nel 2017 la sua prima silloge “Dove nevicano le viole” edito da Letteratura alternativa edizioni, attualmente lavora come Education trainer per   Wella Company.

POETI CONTEMPORANEI Silvana Cojocăraşu

La tristezza del vincitore

Chiedimi se sono felice.

Salvami. Deciframi o divorami.

Il colibrì spicchia il volo

come se fosse un’arancia

dolce, strepitosa,

che si guarda allo specchio

e vede il cigno nero.

Si vive, si odia, si mente

a proposito di niente,

si fa l’esercizio del desiderio

chiusi dentro corpi speciali,

in racconti erotici per ragazzi.

Nel paese del lupo bianco

si passeggia tranquillamente.

L’occhio coperto

apre spirali di luce

sul cielo di mezzanotte.

Tra gli alberi

delle foreste di cemento grigio

si prova a ritrovare

la natura umana

l’essere profondo

si leggono i cervelli

si gioca a carte con i pensieri

in senso orario.

Riconoscere come l’ombra nera

che ci segue infinitamente

secondo l’ora solare.

Illuminate! – grida il Maestro – , fate vedere

al popolo il volto nascosto della Luna!

Tristeţea învingătorului

Întreabă-mă dacă sunt fericită.

Salvează-mă. Descifrează-mă sau devorează-mă.

Un colibri desface zborul

ca pe o portocală

dulce, savuroasă,

apoi se priveşte în oglindă

și vede o lebădă neagră.

Se trăieşte, se urăşte, se minte

pentru nimic,

se face exerciţiul dorinţei

închişi în corpuri speciale,

în povestiri erotice pentru copii.

În ținutul lupului alb

se umblă fără grijă.

Ochiul acoperit 

deschide spirale de lumină

pe cerul din miazănoapte.

Între copacii

pădurilor din ciment cenușiu

se bâjbâie după

natura umană

ființa profundă

se citesc creierele

se joacă poker cu gândurile

în sensul acelor de ceasornic.

Să recunoaștem, ca umbra neagră

care ne urmărește fără sfârșit

pe ceasul solar.

Faceți lumină! strigă Maestrul, arătați

poporului fața ascunsă a Lunii!

Memoria vegetale

Sono la donna del fuoco,

la donna dell’acqua.

La freccia colpisce la straniera

nella sua città interiore,

voleva salvare il mondo

col grido tra rovine.

Da chi viene questo cuore,

come un fuoco rosso nel cielo?

La nostra storia,

le voci dei sogni

sotto la tempesta di ghiaccio,

si chiude

come un libro

nell’albergo dei poveri,

nel buio

i cani dell’estate

cercano la memoria vegetale.

Il pendolo solo

prima di sparire

guarda il ladro di foglie.

La memoria del fuoco,

la memoria dell’acqua

scorrono nelle mie vene.

Dormo sulle altre luci dell’ora

fino alla luna piena,

che mi guarda con un sorriso ironico

e mi mostra l’ombra

tra molte altre, tutte uguali.

Il cane del tramonto si avvicina

per giocare con me.

Chi sei tu, così buono e carino,

come mai sei venuto da me,

ti sei perso?

Memoria vegetală

Sunt femeie de foc,

femeie de apă.

Săgeata

loveşte străina

în cetatea dinăuntru,

vroia să salveze lumea

urlând printre ruine.

A cui este inima

aprinsă ca focul roşu pe cer?

Povestea noastră,

vocile visurilor

sub furtuna de gheaţă,

se închide

ca o carte

în azilul săracilor,

în întuneric

câinii verii

caută memoria vegetală.

Singur pendulul

înainte de a se opri

vede hoţul frunzelor.

Memoria focului,

memoria apei

curg prin venele mele.

Mă culc pe celelalte lumini ale orei

până când luna plină

începe să-mi râdă ironic în faţă

şi-mi arată umbra

printre multe altele, toate la fel.

Câinele apusului se apropie să se joace cu mine.

Cine ești tu, așa frumos și blând,

cum de-ai venit la mine,

te-ai pierdut?

Entro a volte nel mio sogno

Non sperate di liberarvi dei sogni.

NellʹImpero della polvere

la sentinella della pioggia resta

a mano disarmata

davanti al canone del desiderio

leggendo la guida per vivere.

La lampada del diavolo

ci dà consigli

per la fine del tempo.

Facciamo prove di felicità e guarigioni

allʹUniversità del crimine

dove si studia

lʹeconomia sentimentale

con la vita segreta delle muse

e lʹanatomia di un giocatore d’azzardo.

Nel teatro dei sogni

sono di luna

la tigre

la spia…

Io resto la ragazza che guardava il cielo

nello specchio dʹacqua

dopo la pioggia.

Uneori cutreier prin vise

Nu sperați să scăpați de vise.

În împărăția prafului

sentinela ploii rămâne

dezarmată, 

cu pieptul deschis în fața armelor dorinței,

citind ghidul supraviețuirii.

Felinarul diavolului

ne dă sfaturi

pentru sfârșitul lumii.

Repetăm fericirea și vindecarea

la universitatea crimei,

unde se studiază

economia sentimentală

pe viața secretă a muzelor

și anatomia

pe un jucător de zaruri.

În teatrul visurilor

sunt una căzută din lună

un tigru

spionul…

Rămân copila care privea cerul

în oglinda apei

după ploaie.


Silvana Cojocăraşu (Romania): scrittrice, traduttrice, pubblicista, critico di teatro. Membro dell’Unione dei Giornalisti Professionisti di Romania. Laureata presso le Università di Lussemburgo, Constantza e Bucarest (Romania), É.N.A. Parigi (Francia). Traduttore di Italiano, Francese, Inglese, Spagnolo. Pubblica poesia, prosa, saggio, diario di viaggio, recensioni, cronache teatrali, studi di storia e patrimonio, libri in traduzione. Premi letterari conferiti da varie città, regioni e enti culturali in Italia. Onorificenze ufficiali assegnate da enti statali di Romania, Spagna, Cipro, Egitto.

Tutto accade per non accadere: Katherine e James nei sentieri del racconto

Greenwich Park, Londra

Katherine Mansfield

Lungo i viali di Greenwich Park scorgo un uomo alto e magro, occhialini e borsalino, parla fittamente con una giovane donna: sguardo di poiana, pelle di cera; lei stringe lo scialle nelle spalle, lui sfiora il baffetto, sembrano essere James Joyce (1882 – 1941) e Katherine Mansfield (1888 –  1923); chissà di cosa parlano, intanto s’incamminano, l’uno accanto all’altra, nei sentieri del racconto.

Per Katherine e James, l’arte del rappresentare si raccoglie intorno ad oggetti sempre diversi che subito si fanno simboli per rivelarci quel che è nascosto, profondo. Ma occorre scavare a mani nude sotto la neve perché, nei racconti della Mansfield come in quelli di Joyce, si ha la sensazione che nulla accada.

Immaginavo Katherine sulla spiaggia di Piha, in Nuova Zelanda, là dove il suono delle onde dell’amica Virginia1si confonde alle note del pianoforte di Jane Campion2. La pensavo così, Katherine, con la stilografica tra le dita a dipingere il cielo d’un azzurro chiaro, tratteggiare paesaggi, fiori, dolci gorgoglii tra sassi di mare:

Casa sulla spiaggia da At the Bay, Wellington, ph. Maggie Rainey Smith

Ah-Aah! sounded the sleepy sea. And from the bush there came the sound of little streams flowing, quickly, lightly, slipping between the smooth stones, gushing into ferny basins and out again; and there was the splashing of big drops on large leaves and something else–what was it? — a faint stirring and shaking, the snapping of a twig and then such silence that it seemed some one was listening.3

Percepibile nella versione originale, l’autrice crea un effetto sibilante attraverso la reiterazione del suono della “S” che si unisce ad un gioco di assonanze per ottenere uno straordinario riverbero musicale comparabile forse all’antico suono della Kalimba.

Come in “Mrs. Dalloway” (1925) della Woolf o in “Ulysses” (1920) di Joyce, anche in “At the Bay” (1922) della Mansfield, l’azione si svolge in un’unica giornata ma, in effetti, manca, qui, una vera e propria trama; i Burnells e i Trouts sembrano latitare, spingersi leggeri tra prati in fiore e corse in mare: tutto accade per non accadere, è questa l’epifania, la rivelazione.

Mentre in “At the Bay” l’autrice sembra incantata dai suoni della baia come mare in una conchiglia, Il racconto “Prelude” (1920) si apre, invece, con Kezia e Lottie, due bambine, ma è sulle figure femminili della generazione precedente, Linda e Beryl, che si concentra l’attenzione. Linda ha un marito, una casa e dei bambini di cui uno in arrivo; Beryl, la sorella non sposata, invece, cresce sempre più in amarezza per la mancata realizzazione sentimentale. In realtà, Beryl aspira a realizzare il suo sogno d’amore: “a new, wonderful, far more thrilling and exciting world than the daylight one”4 ma, quando Harry Kember le propone di uscire, si ritrae, terrorizzata, non riuscirà ad oltrepassare il cancello di casa: è questa la svolta mancata.

Con Beryl che indietreggia davanti ad una piccola pozza di buio: ‘ a little pit of darkness’, il pensiero corre veloce a Eveline in “Dubliners” (1914) di James Joyce; anch’ella, come Beryl, ha l’opportunità di cambiare la vita, ma alla resa dei conti si dimostrerà incapace di abbandonare la routine familiare.

“She stood up in a sudden impulse of terror. Escape! She must escape! Frank would save her. He would give her life, perhaps love, too. But she wanted to live. Why should she be unhappy? She had a right to happiness. Frank would take her in his arms, fold her in his arms. He would save her”5.

Quando Frank le urlerà di seguirlo, Eveline sarà come paralizzata, “i suoi occhi non gli dettero il minimo segno d’amore o di addio o di riconoscimento.”6

Si dispiegano come sete fruscianti le vite interdette nella silloge Joyciana; nel racconto d’apertura: “The Sisters”, l’attenzione sembra concentrarsi sul paralitico Padre Flynn, eppure il titolo suggerisce che la paralisi sia estesa anche alle sorelle le quali proprio per favorire il fratello James, la sua formazione religiosa e la carriera, conducono una vita non soltanto povera ma anche ingrigita dalle convenzioni sociali che le vogliono non realizzate, in una parola, represse.

Incapace di mutare direzione è anche Jonathan Strout in “At the Bay”: pur sentendosi prigioniero di un lavoro del quale vorrebbe liberarsi, Jonathan, resta seduto sul trespolo a scarabocchiar registri: “Tell me, what is the difference between my life and that of an ordinary prisoner? The only difference I can see is that I put myself in jail and nobody’s ever going to let me out.”7

E come dolce sciacquio, torna alla memoria Little Chandler, in “A little Cloud” di Joyce: qui, il protagonista è consapevole di non poter trasferirsi altrove poiché Londra o Parigi sarebbero ugualmente deludenti per lui. L’epifania del Piccolo Chandler è, dunque, in una nuvoletta da cui cadono soltanto poche gocce sopra la sua desolata esistenza che neppure la nuova paternità riuscirà a ravvivare, anzi sarà motivo di frustrazione.

Ed ecco che, sia nella Mansfield che in Joyce, il senso sembra mancare, ma quel che pare sfocato, in realtà, è ben delineato, quel che appare superficiale, è profondo perché la fuga è la soluzione cui tendono i personaggi come lontano miraggio nel deserto.  

Memoriale a Katherine Mansfield

In “At the Bay”, Kezia vuol che la nonna non la lasci mai: “Promise me! Say never”8. Ma il tema della morte non viene in realtà affrontato; i personaggi rasentano il baratro per poi finire in una bolla di risa e scherno. “Say never, say never, say never, gurgled Kezia, while they lay there laughing in each other’s arms”9. Così è anche in “The Garden Party” (1921) in cui una giornata ideale per una festa in giardino sembra inficiata dalla improvvisa morte del vicino, ma la festa si terrà e Laura, di ritorno dalla casa del defunto, asciugherà le lacrime sfiorando un senso di gratitudine per la vita.

di Giuliana Sonnante

È comprensibile che la Mansfield sfiori soltanto il tema della morte se consideriamo che ella combatte strenuamente contro la tubercolosi. Lo sentiamo nell’amore che prova osservando la vita in tutte le sue più piccole manifestazioni prima di farne parola, disciplinata scrittura. Lei che vuole solo vivere al sole della sua baia e scrivere senza preconcetti. Così Pietro Citati:

Sebbene la tisi non le appartenesse, aveva compreso che la malattia era la condizione più adatta allo scrivere: le faceva sentire acutamente come tutte le cose passino troppo presto: rendeva le figure ricche, importanti e desiderate, come quando un bambino malato è chiuso in esilio nella propria stanza, mentre dalla porta e dalle finestre penetrano i rumori, il frastuono e le luci, tutto quello che accadeva oltre era meraviglioso. […] “Ogni artista” annotò sul diario “si taglia un’orecchia e la inchioda alla porta, perché gli altri vengano a gridarci dentro10

Se la morte s’allunga come ombra fastidiosa, un’apparente immobilità distingue anche “A Man Without a Temperament “in cui un uomo senza carattere sembra essere alle dipendenze di una donna bisognosa d’assistenza pur essendone, in realtà, il marito. Così Robert, marito di Jinnie, non fa che rigirare l’anello al dito in attesa del successivo comando. “He stood at the hall door turning the ring, turning the heavy signet ring upon his little finger while his glance travelled coolly, deliberately, over the round tables and basket chairs scattered about the glassed-in veranda”11. Ma se il lettore non riesce a simpatizzare col protagonista che appare “stiff”, rigido, come il braccio su cui Jinnie si poggia, la narrazione sembra mossa dal ricordo di Londra che coincide per Robert con la vita. Ma il protagonista non cambierà il suo atteggiamento, si desterà ad ogni scalpiccio della moglie pur essendo da lei spiritualmente distante. Crescerà, certo, il suo discontento, straordinaria è la capacità di rendere la tensione psicologica del protagonista, ma non si ha la sensazione che egli possa mutare la sua posizione. Una costante dei racconti della Mansfield è forse proprio la sospensione; l’autrice non cerca un lieto fine come spesso accade nei romanzi ottocenteschi, ma lascia il lettore sospeso, incerto sulla soglia del racconto.

Il cielo è carico di neve mentre Katherine e James s’incamminano verso la strada collinare di Maze Hill che delimita il confine orientale di Greenwich Park. James sistema il borsalino sulla testa di lei per ripararle il capo e intanto non può non pensare a Michael Furey, morto per amore della sua Gretta: il primo amore di cui suo marito Gabriel non sapeva e che forse così intenso non aveva mai vissuto. Non può non pensare alla sua gente, alla gente di Dublino, paralizzata dalla spessa coltre delle abitudini, delle convenzioni sociali, della ritualità delle feste religiose sempre uguali a loro stesse.

“C’era neve dappertutto in Irlanda, cadeva ovunque nella buia pianura centrale, sulle nude colline; cadeva soffice sulla palude di Allen e più a ovest sulle nere, tumultuose onde dello Shannon. Cadeva in ogni canto del cimitero deserto, lassù sulla collina dov’era sepolto Michael Fury. S’ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle pietre tombali, sulle punte del cancello, sugli spogli roveti. E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine sui vivi e sui morti.“12

È calda la neve per Gabriel perché egli è forse l’unico a destarsi dal lungo sonno nel quale Dublino è piombata. E la calda neve, mi riporta a quello straordinario ossimoro che brucia sotto un candido oblio:

Winter kept us warm, covering

Earth in forgetful snow, feeding

A little life with dried tubers13.

Castello di Vanbrugh 1699-1712

Presso il castello di Vanbrugh, in lontananza, Katherine e James si fanno invisibili all’orizzonte, ma, di certo, giganti tra le pagine mentre, uscendo dalla stazione di Maze Hill, mi ritroverò in Tom Smith Close e da lì potrò percorrere la strada in discesa e raggiungere Trafalgar Road…

Giulia Sonnante


1. Virginia Woolf (1882-1941)

2. Jane Campion, regista, sceneggiatrice e produttrice neozelandese nasce a Wellington il 30 aprile 1954

3.[Ah – Aah! Echeggiò il mare tranquillo. E più in là da quel cespuglio giungeva il suono di ruscelletti che scorrevano veloci, leggeri, scivolando tra sassi levigati per riversarsi in bacini di felci e poi, di nuovo, zampillare; ed il tuffarsi di grandi gocce su ampie foglie e ancora—- cos’era? Qualcosa si agitava debolmente e crepitava, lo spezzarsi d’un ramoscello e poi un tale silenzio che sembrava qualcuno stesse ascoltando”] traduzione di chi scrive: K. Mansfield, The Garden Party and Other stories, Penguin Twentieth Century Classics, London, 1997 p. 5.

4. [Un mondo nuovo, meraviglioso, di gran lunga più emozionante ed eccitante della luce odierna] traduzione di chi scrive.

5. [Balzò in piedi spinta da un terrore improvviso. Fuggire! Doveva Fuggire! Frank l’avrebbe portata in salvo, le avrebbe dato la vita e forse anche l’amore. Lei voleva vivere davvero. Perché avrebbe dovuto essere infelice? Aveva diritto anche lei alla felicità. Frank l’avrebbe presa tra le braccia, l’avrebbe stretta: l’avrebbe salvata.] Trad. di Attilio Brilli in J. Joyce, Gente di Dublino, Classici Mondadori, Milano, 1987.

6. Ibid. pag. 33.

7. K. Mansfield, in op. cit. [“Dimmi, quale differenza c’è tra la mia vita e quella di un comune prigioniero? L’unica differenza che riesco a vedere è che sono io stesso a mettermi in prigione e mai nessuno mi tirerà fuori da lì] trad. mia p. 31

8.K. Mansfield, in op. cit. [Promettimelo, di’ mai] p. 23. Traduzione di chi scrive

9. Ibid. [di’ mai, di’ mai, di’ mai barbugliò Kezia mentre restavano lì a ridere ognuna nelle braccia dell’altra] p. 23 traduzione di chi scrive.

10. Pietro Citati, Vita Breve di Katherine Mansfield, Adelphi Edizioni, Milano, 2014 p. 83-4.

11. A Man Without a Temperament (1920) il racconto in formato digitale è disponibile sul sito della Katherine Mansfield Society http://www.katherinemansfieldsociety.org [stava all’entrata della hall, rigirando l’anello, rigirando il pesante anello con sigillo, intorno al dito mignolo, mentre il suo sguardo vagava freddamente, deliberatamente, sui tavoli rotondi e sulle poltroncine di vimini sparpagliate intorno alla veranda vetrata. ] p. 1. Traduzione di chi scrive.

12. James Joyce Gente di Dublino, Oscar Mondadori, Milano, 1987 – I Morti –  p. 208 nella traduzione di Attilio Brilli.

13.T.S. Eliot, La sepoltura dei morti in “La terra desolata” 1922 [L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse / con immemore neve la terra, / nutrì Con secchi tuberi una vita misera] traduzione di Roberto Sanesi, in La terra Desolata Classici Moderni, Rizzoli, Milano, 2013

SOFIJA

COMPAGNA DI VIAGGIO, canzone composta da Giorgio Faletti per Mina, m’ha ispirato una lettera immaginaria, scritta da Marina Cvetaeva per Sofija Parnok entrambe Poetesse, amiche, amanti. Mie Amate!

“È tempo di togliersi l’ambra,

è tempo di cambiare parole,

è tempo di spegnere la lanterna sul portone ( )”

Mia Sofija,

la mia vita è come il mondo, perché la mia vita è distante dal mondo, sono seduta leggera come aria su una roccia verde che sembra di foresta o di scoglio in riva al mare, ho dimenticato il freddo bianco, fisso nella testa, non sono più interessata alla sommità quando sono in ascolto di te che sei tutta qui intorno come sempre, tutta amata, sì, ma di te, come mi dedicasti tu tanto tempo fa.

Il suono del bronzino appeso al collo di una mucca poco distante dalla mia povera dimora con le lenzuola appese fuori, mi distrae da me stessa, dentro quel suono c’è racchiusa la tua anima, è un suono forte, bizzarro e selvaggio, come scoppio della tua risata, tanto da risvegliarmi dal torpore di questo freddo anestetizzante, un silenzio opaco e chiuso come la gente che abita queste strade, con gli occhi lucidi di malinconica ebbrezza, la morte eccita e ipnotizza i pensieri. La guerra è imminente, tutto è in partenza in un altrove di ruggine e tormento.

Ora è caldo il mio corpo, chiudo gli occhi, penso al tuo corpo racchiuso tra le braccia dell’uomo poeta che hai dovuto sposare per essere libera come una donna che scrive, perché il nostro amore, il tuo e il mio insieme, fosse mischiato dal nostro comune sangue di vene forti, nervi di bue tesi ad asciugare al sole per picchiare la schiena di figli e figliastri condannati a morte, contro la Luce di Dio che specchia cristalli tintinnanti di festa proibita a noi due non unite dal sacro, luce che asciuga le nostre lenzuola umide al tatto dell’ombra che hai lasciato su di me, come compimento del tuo Poema. Hai scritto tanto mia amata metà dello stesso riflesso di luna, e cerco di resuscitarti nel cielo di ogni mia parola ancora non immaginata.

Mi verso del vino e con esso bagno il pane, frutto della terra che ti riveste.

La Luce implode nel thè che cerco di mantenere caldo fin dentro lo stomaco, il tuo Pensiero scritto mi accompagna al desio di questo intero giorno che sa di addio dei giorni avvenire, un profumo speziato di antico futuro, il nostro futuro che abbiamo saputo profanare di poesie convulse; la Passione è in movimento, l’amore è dentro un’eternità stimata senza valore. Tu mi hai amata, perché spaventata da questo sentimento sei andata via, ma non mi hai voluta bene altrimenti saresti restata, perché il bene fa restare. Io nemmeno ti ho voluta bene Cara, sappilo ovunque ti rivolgi a me, t’ho amata da struggermi dal dolore più atroce fino a fissarmi un punto nello spazio più vuoto e più grande che esista. Io sono lì e mi cerco altrove.

Tu sei ancora accanto a me anche se non ci sei e dopo tanto tempo ancora cammini al mio fianco, la tua mano dirige suoni del mio verbo che quando non scritto resta silenzio. Sofija

nome del verbo silente all’infinito, nome che copre il vento e stride soffiando tra le rotaie di un treno in lontananza.

Oramai sopravvivo di te, del tuo coraggio d’amore dichiarato al mondo, perché non fosse stato vano quello scritto, perché il tempo avesse dato al tuo coraggio un significato pieno, come una particella d’anima terrestre. Ti rileggo ogni sera mia amata Sofija figlia del grato giorno che riempie l’anima gli occhi e che non mi fa scrivere se non il tuo nome: Sofija…

Tua amata Marina

“Ho fatto un sogno: vago al buio. Mi sono abituata all’oscurità,

e poi…. luce. Taverna montana.

Parlottio gutturale. Grida di ubriachi

Entro. Mi siedo. E nessuno degli avventori si gira.

Dall’otre un vecchio lezgino filtra il vino senza fretta.

Volge lo sguardo verso di me (ha la pupilla felina stretta). E io, a bruciapelo:

“Oste, cosa c’è per cena?”

La mia voce si acutizza in grido, ma pare non si senta affatto:

il vecchio non batte ciglio,

per tutta risposta sbadiglia ed esce. E ho paura. E non capisco:

ma le persone qui accanto, quei giovani, perché

non han sentito il mio grido?

E perché nessuno guarda

verso la panca dove sto seduta, come fosse vuota? Mi alzo, agito le braccia, protesto

ed è qui che penso: “Be’, allora sono diventata invisibile?

E dove vado in questo stato?”

E m’appresso stanca alla finestra…

In montagna, sul fare del giorno, regna un silenzio sacro.

E un tizio ubriaco guarda fuori, attraverso di me, e dice: ” L’ alba. “

Sofija Parnok, 12 maggio 19271

Gloria Sannino

A sinistra: Sofija Parnok, a destra: Marina Cvetaeva

  1. Poesia tratta dalla raccolta intitolata “L’ultima primavera”, poesie di Sofija Parnok (Taganrog, 11 agosto 1885 – Mosca, 26 agosto 1933) traduzione a cura di Linda Torresin, Damocle Edizioni, maggio 2019.

LA POESIA È LA CURA

Grotta di “Sa Nurre de su Hoda”, a Oliena, Sardegna

Ho scoperto che esiste al mondo un modo di curarsi con la parola, ma non quella usuale, come molti di voi potranno immaginare.

Aldo Carotenuto, nell’introduzione al libro “Manuale di arte terapia poetica” di Giuseppe Bartalotta, avvicina la poesia alla psicoanalisi, affermando che esse hanno delle linee comuni, così come lo stesso Freud ha più volte dichiarato, la capacità del poeta e degli artisti, in generale, di trascendere la realtà ed attraversare i territori dell’anima. La psicoanalisi ha molto a che fare con la poesia e con la sua capacità di introspezione, azione capace di generare un ripiegamento su sé stessi, permettendoci di conoscere quelle parti che ci compongono, ma ci sfuggono, tutte le voci che ci abitano, anche in silenzio.

La poesia terapia è, dunque, una pratica di cura, contemplata tra le Arti terapie, in grado di riattivare vissuti dimenticati, che, tuttavia, continuano, in qualche modo a determinarci perché rimasti inascoltati.

L’arteterapia è in grado di generare strumenti per l’energia psichica al fine di formare simboli in varie produzioni, dice Jung, in grado di attivare la comunicazione tra l’inconscio e il conscio. La parola poetica è simbolo per eccellenza, dunque, il verso ha la capacità di far emergere ricordi e vissuti, ma anche emozioni e sofferenze legate a traumi passati. Il verso ha la potenza evocativa in grado di liberare forze nascoste e indagare l’animo, aiutarci a fare luce nelle nostre stanze buie. Allora, come nella terapia psicoanalitica, si compie un viaggio nell’animo umano e con l’uso delle parole poetiche si parla all’uomo nella sua totalità, raggiungendo ogni strato del suo essere, quello cognitivo e quello emotivo, risvegliando qualcosa di sopito o di ancora sconosciuto.

Giuseppe Bartalotta, psicoterapeuta analista del Centro italiano di Psicologia analitica e dell’International Association of Analitical Psychology C. G. Jung di Zurigo, arte terapeuta, prima della sua morte nel 2001 stava lavorando a quello che fu, in seguito, pubblicato come il primo Manuale di arte terapia poetica in Italia. A curare il volume postumo, con prefazione di Aldo Carotenuto, come anzidetto,  furono la figlia Angela Maria Bartalotta ed alcuni componenti del gruppo di ricerca da lui guidato a Roma. Il manuale, di un centinaio di pagine, anche se rimasto incompiuto e composto di appunti di lavoro di Bartalotta, presenta metodologie e pratiche di uso della poesia nella terapia e nella relazione di cura, ponendo Bartalotta tra i pionieri italiani della  poesiaterapia. Egli dà alcune indicazioni su come usare la poesia nella terapia e come strumento di cura nelle relazioni d’aiuto e nelle pratiche di gruppo, perché la poesia terapia è, come lui stesso afferma, una “vera e propria psicoterapia di gruppo”.

Si potrà scegliere di leggere un un solo poeta, seguendone la storia e la sua crescita come uomo e come autore; così come si potranno scegliere differenti poeti legati da un filo conduttore, per accompagnare il percorso di crescita dell’individuo e del gruppo.

La poesia viene letta ad alta voce, soffermandosi prima sul testo e sul suono delle parole, lasciando che queste scorrano e attivino un vissuto, portando a galla le emozioni ad esso legate. Durante il lavoro è possibile che i partecipanti producano poesie, queste conterranno elementi utili alla lettura del processo personale e di gruppo.

La poesia diviene il mediatore per eccellenza che permette all’inconscio di esprimersi attraverso l’uso di simboli, immagini, fantasie per portare poi, piano, ad un livello di comunicazione tra la nostra parte razionale e quella irrazionale, ognuno potrà stare nel flusso e raccontarsi e raccontare, per ri-conoscersi e ri-significarsi. Anna Achmatova è una delle poete scelte da Bartalotta in alcuni lavori con i gruppi di poesia terapia, accompagnando la lettura delle sue poesie alla luce della sua biografia e dei momenti cruciali della sua vita.

“Domani sarà un mattino
di serenità.
La vita è splendida,
sii saggio, cuore.

Sei così stanco,
rallenta, batti piano…
Pensa, ho letto
che l’anima è immortale.”

Quanto il nostro cuore è vicino a quello della Achmatova?

La poesia terapia è un sollievo per il cuore, una cura per l’anima ferita, una possibilità di crescita e di liberazione.

Mariatina Alò

MARIE CARDINAL: LE PAROLE PER DIRLO

 Dagli anni ’70 dello scorso secolo e per i decenni ’80 e ’90 si è avuta, in Italia, una ricca produzione di pensiero intorno al tema della differenza sessuale. Momento centrale la pubblicazione di Speculum testo scritto da Luce Irigaray nel 1974, pubblicato in Italia da Feltrinelli con introduzione di Luisa Muraro che pubblicherà, in seguito, l’Ordine simbolico della madre edito da Editori Riuniti. Queste pubblicazioni attivano pratiche di lavoro intellettuale e politico che hanno consentito forti avanzamenti di consapevolezza all’interno del patrimonio culturale lasciato nel corso dell’intero ‘900 da scrittrici e artiste ancora oggi non del tutto conosciute. Il lavoro di produzione teorica e pratica fondato in quei decenni è stato in forte relazione con quanto accadeva, nello stesso settore, sia in altri paesi europei che in America del Nord.

In letteratura molti i passaggi significativi. Centrale la figura di una grande intellettuale francese: Marie Cardinal (1929 – 2001). Esce in Italia, edito da Bompiani, nel 1988, Le parole per dirlo. Un romanzo di cui dovremmo continuare/tornare a parlare. 

Una figlia non voluta ricostruisce la propria storia forando i pensieri e i desideri di una donna bigotta a cui rinfaccia la “carognata”: è sua madre che ha tentato in più modi l’interruzione di gravidanza ma ne è stata impedita dalle proprie credenze religiose. Non avendo potuto portare a termine il proprio progetto, la madre ha trasmesso sentimenti negativi nei confronti della figlia lasciandole rasentare la follia. Sul e dal bordo della follia si apre il romanzo che inizia con la narrazione di una giovane donna la quale scava in sé, nella bambina che è stata, il senso e i segni del rifiuto materno. Le pagine del romanzo scorrono dense mostrando pieghe mai, sino ad allora, così magistralmente esplorate dell’animo femminile.

È un romanzo autobiografico il cui tratto fondamentale è una maestria unica nel saper narrare il dolore e le modalità attraverso cui, esso, può piegare e piagare una donna. La protagonista rende conto di anni e anni di percorso analitico, anni in cui si riappropria della scrittura la quale diviene elemento centrale della propria rinascita. La donna inizialmente piegata, commiserata, ormai nullità di sé diventerà una donna libera e coraggiosa capace di lasciarsi alle spalle una morte simbolica per entrare nel proprio principio vitale sorretta da un progetto esistenziale che la renderà unica.

Una profonda sapienza letteraria consente a Marie Cardinal di tenere le pagine in una narrazione che è puntuale resoconto di vita e sismografo di un rivolgimento esistenziale inaudito. La capacità di Cardinal di trasformare il linguaggio rendendolo vero perché, ri-fondato su un contatto profondo con il proprio corpo, corpo di donna porta la dinamica della storia a far chiudere alla figlia il senso di lacerazione nei confronti della madre ed incamminarsi verso un arduo percorso di perdono che spezza la reiterazione dell’odio tra madre e figlia. Il lavoro porta la figlia a potersi liberare cosa che, la madre, non era riuscita a fare impigliata tra morale borghese e rete patriarcale. Il romanzo ha rappresentato un forte e deciso passaggio nei confronti del rifiuto di un linguaggio capace di mostrare solo la miseria simbolica del femminile. “Le parole per dirlo” sono le parole che servono a dire l’esperienza di donne a partire dalla loro relazione con la materialità dell’esistenza e con il proprio corpo.

Le parole per dirlo sono le parole che una donna sa far nascere per dire il proprio rimosso, la propria zona di silenzio e di ombra. Attraverso il lavoro di scrittrice, Marie Cardinal propone un modo assolutamente nuovo di rendere dicibile l’esperienza femminile rifiutando ogni linguaggio specializzato che cancella la differenza portando il femminile nell’alveo del neutro ossia dell’ordine dato. Marie Cardinal continuerà lungo tutto l’arco della propria attività di scrittrice questo lavoro di pungolo e reinvenzione del linguaggio stanando l’inespresso, sostenendo l’essenziale affinché il dono fatto dalla madre possa mostrarsi nello spiegamento della propria potenza: una madre dà non solo la vita alla propria creatura ma, contestualmente, la mette in condizione di parlare. Il dono del linguaggio resta l’alveo del patrimonio simbolico di cui ognuna deve poter comprendere e vedere grandezza e forza di nutrimento.

“… L’incontro con i miei primi veri difetti mi dava una sicurezza che non avevo mai avuta. Essi mettevano in risalto le mie qualità che scoprivo contemporaneamente e che m’interessavano di meno… I miei difetti erano dinamici. Sentivo molto profondamente di volta in volta che li riconoscevo, che diventavano strumenti utili…Non si trattava più di respingerli, o di sopprimerli, e ancora meno di averne vergogna, ma di domarli e all’occorrenza di servirmene…”1

L’attualità della lezione di Marie Cardinal non è ancora esaurita. Essa parla da un’altezza che non era stata raggiunta. Venire a capo della perdita di coscienza, dell’annullamento trovandone parole e tessiture è mettere al mondo il mondo, ancora.

Anna Rita Merico


  1. Marie Cardinal, Le parole per dirlo, Bompiani 2014, pg. 203

PARITA’ E PACE: LA FARFALLA SUL FALO’

Yael Deckelbaum – Prayer Of The Mothers (Official Video)

Il video mostra immagini emozionanti della Marcia della speranza, oltre a contenere un messaggio di Leymah Gbowee ( – 1972), pacifista liberiana, responsabile della direzione di un movimento di pace femminile, Women of Liberia Mass Action for Peace, che ha contribuito a porre fine alla seconda guerra civile liberiana nel 2003. La Gbowee viene insignita del premio Nobel per la Pace nel 2011 insieme alla connazionale Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia, e all’attivista politica yemenita Tawakkul Karman, «per la loro lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro di diritto di partecipare pienamente alla costruzione della Pace». Proprio nel video la Gbowee esprime, in modo determinato, ma dolce, la sua benedizione per una soluzione pacifica e incoraggia tutti a continuare a cercare di far vivere la pace: “La Pace è possibile quando donne, dotate di fede e integrità, difendono il futuro dei loro figli” sostiene Leymah Gbowee.

Alla luce del prossimo otto marzo, che è improprio chiamare Festa, in quanto commemora una tragedia, e non un momento di gioia, che ha avuto luogo nel 1908, io voglio parlare di diritti. Tra tutti, per me, assume un valore preponderante proprio il diritto alla Pace. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, all’articolo 28, precisa che “ogni persona ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà possano essere pienamente realizzati”. Tale ordine mondiale deve essere necessariamente pacifico, perché l’instaurazione di una Pace duratura è condizione per il rispetto dei diritti umani.

Ed è di Pace che parlerò, in questo blog-spazio, attraverso due figure femminili per me molto significative e di due loro opere: Virginia Woolf (1882 – 1941) e “ Le tre Ghinee” (1938) , Maria Montessori (1870 – 1952) con ” La pace e l’educazione“ (1949)

Virginia Woolf, una donna che, con coraggio, nel giugno 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale, nel suo saggio” Le tre ghinee”, ci parla di Pace, come prevenzione della guerra e ci presenta il discorso in una maniera davvero affascinante. Tutto in un tempo ed in uno spazio in cui veniva ampiamente denigrato il contributo politico delle donne. La Woolf si chiede, infatti, nel suo libro “che effettiva influenza possiamo esercitare sulla legge o sul mondo degli affari, sulla religione o sulla politica, noi che troviamo ancora tante porte sprangate, o appena socchiuse noi che non abbiamo alle spalle né capitale né potere? Si direbbe che la nostra influenza si debba esaurire tutta in superficie. Una volta espressa la nostra opinione su di essa abbiamo fatto quello che è il nostro potere fare. È vero che la superficie può essere collegata con le profondità, ma se dobbiamo esservi d’aiuto nel prevenire la guerra, bisogna che cerchiamo di penetrare un po’ più fondo sotto l’epidermide. Proviamo a guardare in un’altra direzione, una direzione naturale per le figlie degli uomini colti, la cultura, l’istruzione.”

Ecco che il valore della Pace si configura attraverso l’educazione, troppo a lungo e troppo spesso negata, proprio nella forma dell’istruzione, alle donne. Esseri per le quali l’istruzione era necessaria solo in quanto andavano “plasmate” donne capaci di “saper intrattenere gli ospiti” e per le quali “Il matrimonio era l’unica professione che le fosse aperta”.” …E non sono forse queste forme di “violenza (intrise di) senso del possesso: ”due sentimenti connessi molto da vicino con la guerra?”  Eppure, sembra risponderle, gridando a gran voce, con forza e sicurezza nel suo dire, la Montessori che “L’educazione va vista e vissuta come pratica di liberazione e costruzione di Pace “.

Quella della Montessori fu, infatti, in quegli anni l’unica voce autorevole di educatrice ad ergersi contro il clima e lo spirito di violenza, instaurati dal regime dominante e dalle classi sociali reazionarie che imperversavano in Italia, in Europa e in Africa. Siamo agli inizi del 1900 ed è bene ricordare che, per la guerra italiana d’aggressione in Etiopia, Maria Montessori fu tra le personalità a proporre una ferma e appassionata difesa della cultura democratica della Pace, dell’atteggiamento solidaristico, che è il più potente motore dello sviluppo umano, dell’umanesimo, che conduce le società all’apertura di spazi condivisi.

Questa fenomenale pedagogista del ‘900, ci illumina su una realtà fondamentale: non è vera l’equivalenza che si stabilisce solitamente tra fine dell’evento bellico e Pace: purtroppo, questo bene così prezioso diventa, per paradosso, proprio “lo scopo della guerra, l’asservimento di un popolo all’altro dopo una sconfitta cruenta, il suo annientamento morale ed economico è proprio ciò che la guerra si prefigge di conseguire.”

La Pace e le vie per costruirla sono state, dunque, sempre elemento costituivo della riflessione pedagogica della Montessori e fu proprio attraverso il suo lavoro con i bambini che ella arrivò alla soluzione: “L’educazione è l’arma della Pace”. Maria Montessori è una donna che, con il suo lavoro, ci fa capire che le guerre innestano la loro radice in interventi educativi per le giovani generazioni, ahimè, inadeguati a questo scopo. Si capisce bene, quindi, come la Pace, conditio sine qua non di espressione e realizzazione dei diritti umani  sia , innanzitutto un problema pedagogico. E con questa mia affermazione non intendo riversare la risoluzione del problema sulla scuola: quando dico pedagogico intendo di costruzione dell’educazione e della formazione di persone all’interno di qualsiasi agenzia educativa e, quindi, problema sociale in senso ampio, legato alla crescita delle menti, sin da quando si affacciano alla vita. Per questo, la responsabilità ultima della sua realizzazione è dell’educazione. La politica può solo evitare le guerre, ottenere che i conflitti tra i popoli si risolvano attraverso negoziati, piuttosto che attraverso la violenza, ma non può costruire la Pace. Sostiene, infatti la Montessori “La vera difesa dei popoli non può poggiare sulle armi: giacché le guerre … non potranno mai assicurare la Pace e la prosperità di nessun popolo, finché non si ricorrerà a questo grande armamento della Pace che è l’educazione”.

Dobbiamo arrivare al 19 dicembre 2016, però, per avere il pronunciamento dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che decide di adottare la nuova Dichiarazione sul diritto umano alla Pace, affermando che «ogni individuo ha il diritto di godere della Pace, in modo che tutti i diritti umani siano promossi e protetti e lo sviluppo sia pienamente realizzato». Mentre già nel settembre del 2015 l’Agenda 2030, recitava così: “Obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”, eppure…

…donne e ragazze nel 2023 continuano, inesorabilmente, a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del mondo e a non godere del diritto ineludibile della Pace!

La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. L’obiettivo 16 dello stesso documento prescrive, infatti” Pace, giustizia e istituzioni forti: Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, rendere disponibile l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficaci, responsabili e inclusivi a tutti i livelli”.

Nella realtà, purtroppo, siamo ancora molto immersi in meccanismi di apparenza e la Pace (quella con la P maiuscola!) è – per dirla con la Woolf – come “la farfalla sul falò” : una promessa  fragile di un’umanità che va, ancora, liberata dalla sopraffazione e dalla violenza.

Giusy Carminucci