LOUISE GLÜCK E LA LUCE D’INVERNO di Mariatina Alò

“…the adventure that writing is, each poem a journey into unknown territory

Era inverno, quando ho scoperto Louise Glück, e mi trovavo in un momento della vita in cui certe domande si accampano sulla testa come grossi uccelli nel loro nido.  Scrivere una buona poesia non deve essere mai stato facile, ma quando la incontri, la poesia vera, quelle parole ti si attaccano addosso, come se t’appartenessero da sempre. Avevo da poco cominciato a dedicarmi alle poete americane, quando ho scoperto Louise Glück, ho trovato incredibile questa vicinanza di sentire con i suoi scritti, questo calarsi nella sua parola e ritrovarsi, andare in un territorio straniero e sentirsi a casa propria.

Ho letto Averno, una silloge ispirata al lago Averno, nei pressi di Napoli, che, nella mitologia greco-romana, rappresenta la porta dell’Ade; qui la vita e la morte si incontrano, sotto il cielo d’inverno in cui non vi sono più uccelli a volare ed ogni cosa è fredda e scura. Averno è la narrazione del passaggio, dall’autunno all’inverno, dalla vita alla non vita, che non è propriamente morte, ma una dimensione di mezzo in cui sotto la terra le creature giacciono in attesa della rinascita. Così la Glück, richiama il mito di Persefone, figlia di Demetra e Zeus, guardiana della porta degli Inferi. Nella prima versione della poesia Persefone l’errante, la figlia che viene al mondo, diventa donna, entra nella terra, liberandosi dalla sua prigionia di figlia:

Lei sa che la terra

è affare di madri, questo almeno 

è certo. Sa anche che

lei non è più ciò che si dice

una ragazza. Per quanto riguarda

la carcerazione, lei crede

che è stata prigioniera da quando è stata figlia.”

Nella seconda versione di Persefone l’errante, la Glück rievoca la dimensione di madre, figura ricorrente in Averno, qui è il lutto di Demetra a colpire, il lutto della separazione della madre dal corpo della figlia, alla nascita, ed il lutto nel momento in cui la figlia muore al mondo dei vivi. Persefone, la donna che sulla terra viene a mancare, ma continua ad errare sotto la terra, mentre sua madre la cerca tra i vivi, Persefone la figlia che muore alla madre, che da lei si separa per divenire altro.

Abbiamo qui

una madre ed un enigma: questo

corrisponde precisamente all’esperienza

della madre quando

guarda in faccia alla bambina. Pensa:

ricordo quando non esistevi. La bambina

è perplessa: più tardi, l’opinione della bambina è

che è sempre esistita, proprio come

sua madre è sempre esistita

nella sua forma attuale.”

Nella sua autobiografia, la Glück racconta di essere stata introdotta alla lettura dei miti greci, da suo padre, il quale raccontava alle due sorelle anche la storia di Giovanna d’Arco, eliminando, però, la parte in cui la santa veniva messa al rogo. I suoi genitori hanno sempre spinto le due figlie a scrivere ed inventare storie, che il padre puntualmente trascriveva su grandi fogli; c’era, nella sua famiglia, la percezione che ogni forma d’arte fosse una nobile chiamata. Louise crebbe in due famiglie matriarcali, composte da un gran numero di donne, e benché il mondo non lo riconoscesse, nella sua famiglia vi era una consapevolezza: che il potere femminile fosse illimitato. Nonostante la vita l’abbia messa dinanzi a grandi prove, ha sofferto di anoressia in adolescenza e le fu diagnosticata l’epilessia; come dichiara nella sua autobiografia, la Glück ha attraversato un lungo periodo in analisi, percorso durato sette anni, che, dice, furono anni che cambiarono il corso della sua vita, rendendola vivibile.  “They made my life possible, really.

C’è, nei suoi versi, tutta la drammaticità dell’essere madre, figlia, donna, narrata con aspra precisione e amara consapevolezza, in un gioco evocativo che supera il tempo e riporta il lettore alla coscienza, pura e disillusa, della propria dimensione del vivere.

Ho imparato molto da lei, ho imparato che uscire dall’inverno si può, ma quelle ferite non si possono ricucire, perché ogni cosa in natura ha la sua precisa funzione e noi uomini non possiamo sottrarci a questo, tuttavia, cerchiamo appigli che ci permettano di esistere, di stare al mondo:

Posso testimoniare che quando il sole tramonta in inverno è

incomparabilmente bello e il ricordo di esso

dura a lungo. Penso questo vuol dire

non c’era notte.

La notte era nella mia testa.”

La Glück ci insegna che la poesia è una via d’uscita, un corridoio tra la vita e la morte, la luce e la non luce, con la consapevolezza che quello che viviamo, ci segna, ci ferisce, ma, allo stesso tempo, ci consente di crescere, di avanzare verso la nostra piena realizzazione di esseri umani.

Mariatina Alò

RECENSIONE: Averno (Louise Glück) - La lettrice controcorrente

Louise Glück è nata a New York nel 1943. Vincitrice del premio Pulitzer con L’iris selvatico (The Wild Iris, 1993), ha convinto i critici per lo stile controllato ed elegante con cui assorbe lunghe sequenze narrative di tratto confessionale che ricordano la poesia di R. Lowell, S. Plath e A. Sexton. In Meadowlands (1997) rievoca figure mitiche come Ulisse e Penelope. Nel 2020 vince il Nobel per la letteratura per la sua incofondibile voce poetica che con austera bellezza rende l’esistenza individuale esperienza universale. Nel 2020 per il Saggiatore vengono pubblicati: Averno e L’Iris Selvatico. A queste segue Ararat (2021).Muore a Cambridge, nel Massachusetts, il 13 ottobre 2023.

Louise Glück, L’iris selvatico, traduzione M. Bacigalupo, Il Saggiatore

Louise Glück, Averno, traduzione M. Bacigalupo, Il Saggiatore

https://www.nobelprize.org/prizes/literature/2020/gluck/biographical/