L’INCONTRO CON IL DESERTO

È da un periodo di deserto in cui ho dovuto affrontare la mia solitudine, che ho avviato un viaggio verso le regioni della mia interiorità. Inizialmente in modo forzato, poi convertita in discernimento, ho apprezzato la bellezza del deserto, da tempo ricacciata negli abissi del dimenticatoio.

Così, ho riattivato mappe di territori, capaci di far trovare l’orientamento, per costruire reti di geografie emozionali non più e non solo come viandanti o viaggiatori del sé.

…e ho lasciato che prendesse forma, nella Collana Nuvole, della Casa editrice L’Idea, un itinerario cartaceo per il quale ho provato la forza della scala, in un deserto che conduce ad elevare il proprio sé verso il divino, verso il metafisico.

Per farmi aiutare in questo cammino di resilienza, sono anche andata a rispolverare due grandi opere che, del deserto fanno la propria ragione di vita” Il piccolo Principe”, di Antoine de Saint- Exupéry, e “I tuoi deserti fioriranno”, di Frère Roger, di Taizé. Due, dei molteplici libri cult della mia crescita interiore.

“Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende in silenzio…”

(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, XXIV)

È in una lettera indirizzata a sua madre che Antoine de Saint- Exupéry descriveva le impressioni e le emozioni di quel tempo sospeso, in un luogo lontano da tutto: nel deserto… “Si è in contatto con il vento, con le stelle, con la notte, con la sabbia, con il mare. Si aspetta l’alba come il giardiniere aspetta la primavera… Non rimpiango niente”. Nella solitudine di Cap Juby gli fa compagnia un piccolo fennec, la classica volpe del deserto, che il giovane aviatore riesce ad addomesticare e che diverrà un personaggio chiave del Piccolo Principe, simbolo e testimone del valore dell’amicizia.

Il deserto diventa, quindi, la metafora della preziosità della presenza amica: di chi ha la forza di esserci, sempre e comunque; di comparire al nostro fianco con discrezione, quando in noi c’è il buio… il vuoto… la disperazione… il dubbio, insorti, come piaga nella pelle del cuore, dopo un dolore, una separazione, un lutto, una crisi, una sofferenza…

“Così ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno con cui poter parlare, fino a sei anni fa, quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara… Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere, soltanto per una settimana. La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Ero più isolato di un marinaio abbandonato in mezzo all’oceano, su una zattera, dopo un naufragio.” (Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, II).

Nel deserto, la presenza umana si rivela inconsistente, effimera e ingannevole come l’ombra di una carovana che passa sulla cresta di una duna, e, al tempo stesso, suscita un senso di inquietudine al suo improvviso apparire nella solitudine immensa. Il deserto non nasce, necessariamente, dopo aver ottenuto ad ogni costo un silenzio interiore, suscitando in sé come un vuoto, facendo tacere immaginazione e riflessioni. Il deserto è uno sguardo interiore di pace, in cui- come suggerisce Frère Roger, di Taizé- si accende un fuoco che non si spegne mai. “Se la fiducia del cuore fosse all’inizio di tutto…Di colpo diventeresti un fermento di fiducia e di pace fino nei deserti della comunità umana, là dove ella si lacera.”

Il vero deserto è un’esperienza unica e indimenticabile.

Quando siamo in una situazione di deserto, il paesaggio appare continuamente diverso e uguale allo stesso tempo, in un sovrapporsi di immagini che tendono a confondersi e a disorientare; mentre gli unici punti di riferimento sono rappresentati dalle rare oasi, sperdute nel mare di sabbia, e dalla linea di costa, dove il deserto finisce nell’oceano e dove, spesso, l’incontro fra la sabbia rovente e le fredde onde crea fitti banchi di nebbia. Simili ai momenti di privazione emotivo-affettiva che ci autoinfliggiamo nei momenti di ritorno in noi stessi.

Anche se scelto da noi come ambiente d’intensa spiritualità e di rivelazione, il deserto, spesso, ci fa sentire infinitamente soli. Eppure… se lasciamo che Dio parli al nostro cuore, nel silenzio e nell’apparente vuoto di questo non-luogo, vedremo elevarsi una scala, capace di distaccarci dal territorio emozionale della solitudine e il deserto porterà i suoi frutti anche nella nostra vita.

Perché ogni deserto ha il segreto di una scala e di un pozzo.

La bellezza del pozzo nel deserto è credere che “I tuoi deserti fioriranno “, come affermava Frère Roger, fondatore di Taizé, grande conoscitore dei deserti del mondo contemporaneo: deserti materiali o spirituali, deserti dell’indigenza o del dubbio, dello scoraggiamento o d’un avvenire senza sbocchi…

Vivere nel e del deserto porta a comprendere che una delle caratteristiche insostituibili del Vangelo è che invita l’essere umano a dar fiducia ad un Vivente: Gesù, il Cristo, Egli è uscito dalla tomba ed è Vivente in mezzo a noi, per indicarci come riappropriarci dell’essenziale, partendo dal cuore. Perché, come dice anche la Volpe al Piccolo Principe “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi…”

Nel deserto si può fare esperienza dell’essenziale della propria identità personale; in quanto la persona- diceva Duns Scoto- è l’ultima solitudine dell’essere. L’acqua del pozzo aiuta a continuare a vivere: è fonte di chiara consapevolezza, Parola per l’anima e valido aiuto a praticare la custodia del cuore.

(“Allineamento sul deserto di Atacama” Foto di Javier Ramos)

Le illusorie visioni, create dai miraggi; la percezione delle distanze, falsata dall’aria priva di umidità che cancella l’effetto atmosferico della lontananza; il disorientamento prodotto dalle tempeste di sabbia, formano il contesto in cui lo spessore della vita riprende forma…e colori…e profumi…e sapori…ed emozioni, andando a costituire nuove realtà dell’identità.

È, dunque, rientrando in sé, cercando ristoro al pozzo della propria anima che ciascuno di noi ha la possibilità di abitare territori e costruire paesaggi di nuove ed esplorabili Geografie Emozionali.

Giusy Carminucci